Non so a quanti…

Non so a quanti succeda, a me spesso.
Vado a letto con l’idea di dormire immediatamente; il sonno mi assedia, la stanchezza fiacca le gambe e le spalle, non vedo l’ora di chiudere gli occhi. Per cui vado a letto, mi siedo un attimo – in quella posizione tra il seduto e lo sdraiato – poi guardo l’orologio, sempre più spesso il cellulare, e vedo con enorme stupore che sono passate due ore. Osservo confuso quei piccoli numeri, alzo la testa e mi guardo attorno, per accertarmi di essere nella mia stanza, poi torno a guardare l’ora. Non è cambiata e sono davvero passate due ore.

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Ho pensato, ecco quello che ho fatto, ma non solo; mi sono perso in terre lontane, ho rivissuto momenti della giornata, più o meno interessanti e su alcuni ho provato ad immaginare interazioni e finali diversi. Ho anche scritto, è vero, per un attimo lo avevo quasi dimenticato. Ho messo in fila decine e decine di parole fino a formare frasi, alcune con un suono e una scorrevolezza piacevole, altre ruvide e ostiche da leggere.

Volevo raccontare di quella sera quando salii a Marciaso per una cena e, approfittando dell’evento, portai la macchina fotografica per scattare qualche immagine del borgo. Pioggia e vento impedirono qualsiasi proposito. E cosi, del borgo, non ho nulla da raccontare se non la bellezza del circolo e della capacità di quel luogo di trasmettere calore, attenzione e affetto.

Eppure il viaggio ci regalò qualcosa di indimenticabile; il tappeto di foglie ad ornare il tratto di strada che congiunge Bardine di San Terenzo a Posterla e Marciaso.

Migliaia di isole alla deriva in un mare di asfalto.

I fari della macchina esaltavano il contrasto tra il marrone, l’arancio, il giallo – innumerevoli le venature più scure ad impreziosirne i dettagli – e l’asfalto grigio scuro, quasi nero. Sembravano acque mosse, la macchina impegnata a rollare e beccheggiare come una barca dispersa tra i flutti.

Sopra le nostre teste un tetto di rami, intrecciati e annodati, a rallentare la corsa delle gocce di pioggia. Possenti ed immobili osservavano il nostro incedere con aria benevola e – mi piace pensare – tutta la voglia di proteggerci.

Che raccontato cosi può sembrare poca cosa; che sarà mai, penserete. Ma, provate, questa sera, andate a letto, mettetevi in quella posizione, un po’ seduti e un po’ sdraiati. Chiudete gli occhi e immaginate, immaginate la scena, fin nel dettaglio, ascoltate i rumori, percepite gli odori. Vivete quel mare e le isole in movimento, fatelo vostro. E dopo averlo fatto, aprite gli occhi e guardate l’ora…

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